Sezione: Lessico
A riprova dell’importanza che deve essere riconosciuta ai due tipi di disposizione – quella imperniata sull’abside, o disposizione interna, e quella orientata sulla navata, o disposizione anteriore –, è necessario stabilire un rapporto, per strano che ciò possa apparire, fra le due fonti orientali e le due zone con le città in quanto tali.
In effetti, benché il piano quadrato della città apocalittica abbia impresso in origine un impulso determinante ai raggruppamenti di chiese, che erano allora la regola, la cosa che particolarmente colpisce è come invece le città di nuova fondazione abbiano, in linea generale, sposato il piano circolare, cosiddetto «radiocentrico»… Ciò voleva dire trasferire nell’ordine dello spazio globale, che richiama l’idea del gruppo umano, la struttura dell’«immagine circolare», che di per sé viceversa s’iscrive nell’ordine del tempo. Non si poteva rendere più evidente la supremazia di Dio e della Chiesa su tutti i piani. Essendo la chiesa al centro, virtuale o reale, di tutto l’insieme – parliamo della chiesa madre, ovviamente, della cattedrale –, il Cristo che in essa risiede, sull’altare, irradia se stesso automaticamente su quell’universo microcosmico che è il gruppo urbano. In tale prospettiva, la disposizione egiziana si estende alla città intera.
Fatto comunque non meno singolare, che però non fa che rendere più sensibile l’accordo intimo fra l’edificio sacro e il gruppo profano – a contrario, potremmo dire stavolta, giacché apparentemente la chiesa, esiliata com’è per lo più in periferia a fare da vero e proprio bastione, sia in senso concreto che figurato, perde qui la posizione preminente che le assicurava il punto centrale –, l’ondata mesopotamica che irrompe nella Francia sud occidentale si accompagna al ritorno in auge di un piano quadrato o rettangolare, in relazione con il diffondersi dell’interesse per il testo apocalittico e della imitazione come che sia della Città celeste. Ciò voleva dire tornare al piano della prima Roma mitologica – la Città quadrata sul Palatino –, ovvero a quello di Alessandria e delle altre città fondate in tempi antichi: e tuttavia non si deve pensare che una siffatta disposizione fosse suggerita esclusivamente dalla comodità o da scopi militari (come a volte si tende ad affermare): nel medioevo qualsiasi atto pubblico, e più che mai un atto così importante com’era quello che mirava a definire la cornice del vivere, era per prima cosa un atto rituale.
L’incidenza del piano quadrato appare all’interno stesso delle città, nell’urbanistica. il piano quadrato del castrum romano con le sue due vie ortogonali venne frequentemente adottato per gli antichi santuari, agglomerati di edifici diversi e sempre in relazione con la Città apocalittica. Tali santuari, infatti, formati da edifici fra loro isolati – il battistero era uno di questi – erano protetti da mura e pone poste in asse secondo i punti cardinali. Esempio tipico è la cattedrale di Milano, della quale un antico testo ci dice che era formata da un nucleo centrale, con la chiesa episcopale, un campanile indipendente – formula italiana per eccellenza questa; ancora in epoca romanica la torre, spesso di ragguardevoli dimensioni, era spesso separata dal resto delle costruzioni: basta pensare alla torre di Pisa –, due battisteri e quattro cappelle dedicate ai quattro arcangeli posti a difesa dei quattro punti cardinali: Michele a oriente il più grande di tutti, al posto d’onore, erede di Thor e dello Psicopompo egiziano, con tanto di bilancia in mano; Gabriele a occidente; Raffaele a nord; e Uriele a sud. Quest’ultimo, che veniva considerato l’arcangelo dell’Antico Testamento, doveva essere estromesso (e il suo culto perciò vietato) da un concilio romano del secolo VII: è da qui che deduciamo la data approssimativa del testo in questione: forse il secolo VI. Più tardi, in epoca carolingia, durante la quale le pone di difesa tuttavia furono conservate, per esempio a Centula (= Saint-Riquier), sopravvennero le cappelle con valore profilattico. Venivano in genere sistemate nelle torri, mentre l’atrio, futuro nartece, continuava a chiamarsi paradisus, ricordo della Città celeste così frequentemente imitata: proprio le torri di facciata, infatti, accoglieranno spesso degli altari, al piano superiore, dedicati a san Michele o a san Gabriele. Quanto al coro, esso era protetto, come ci testimonia un testo relativo alla città di Verona, dalle cappelle dedicate ai santi martiri: in questo modo, ci viene assicurato, la città era «protetta contro le potenze malvagie dalla sua corona di corpi santi».
Sembra evidente, tuttavia, che con la progressiva scomparsa della città o dell’agglomerato di edifici così costituito e la sua sempre più diffusa sostituzione con una chiesa organica principale o con un gruppo cattedrale, si sia ben presto adottata, preferendola a quella che ricordava la Roma pagana, la struttura della Gerusalemme tipica, che era circolare. Fu senza dubbio un piano del genere che venne prescelto nel IV secolo da Sulpicio Severo per la sua villa di Primuliacum, presso Auch; da una lettera indirizzatagli dal suo amico Paolino da Nola, formatosi come lui all’Università di Bordeaux, celebre quanto quella di Autun, apprendiamo infatti ch’egli aveva composto due poemi destinati ad abbellire i portici che univano due chiese al battistero: «Queste due chiese simboleggiano l’Antica e la Nuova Legge. L’Antica Legge è la speranza, la Nuova è la fede. Entrambe le Leggi hanno come punto di riferimento il Cristo. E per questo che il battistero è stato posto a egual distanza dalle due basiliche, perché è da esso che s’irradia la gloria del Signore». Ricaviamo questa citazione dall’ultimo libro di E. Mâle, La fin du paganisme en Gaule, libro importante poiché in esso l’autore rivede certe sue affermazioni relative alla scomparsa del simbolismo fino a Suger, e nel quale, anzi, mette in evidenza la posizione incontestabile che «il simbolismo già occupa nel pensiero cristiano». Se quindi il battistero si trova al centro, è a causa dell’importanza del rito battesimale degli adulti nella Chiesa antica, sulla quale ci soffermiamo in altro luogo.
In linea di massima, il piano circolare è tipico dei villaggi, di tende o di capanne, di svariate civiltà primitive. Un esempio che permane ancor oggi: la capanna dei Maquiritares, popolazione indiana dell’Orinoco, in Amazzonia, che riunisce e ripara l’intera tribù attorno al palo di sostegno centrale, e che comunica all’esterno con quattro aperture poste in direzione dei quattro punti cardinali. Era la stessa cosa nel campo di Attila e la stessa tuttora in zone più vicine a noi, in certi villaggi slavi o presso gli Arabi di Bagdad.
D’altronde, come evocare meglio il mondo sottomesso alla Chiesa? Un piano del genere si accorda con quello della città fortificata, appollaiata in cima a un’altura o raggomitolata attorno al castello, al quale il santuario è connesso e dal quale è protetto. Naturalmente non possiamo elencare tutte le città, innumerevoli, che esistono già dall’alto medioevo e che obbediscono a questo piano; citiamo Malines, Milano, Limoges, Saint-Denis, Figeac, Bergerac, Brive-la-Gaillarde. Ma ci sono anche dei villaggi: fra questi, quanto mai caratteristico è il minuscolo borgo di Pommiers (Loire). In ogni caso, si tratta di un piano che viene da lontano, da costruzioni preistoriche ben note come i cromlech bretoni (cfr. Lavedan, Histoire de l’urbanisme).
La cosa certa è che questo piano, il quale continuò ben inteso a svolgere un ruolo di fondamentale importanza, venne bruscamente abbandonato nel Midi della Francia, nel sud ovest, nella Guienna e nella Guascogna, quando queste regioni dovettero organizzarsi a difesa contro gli Inglesi; si crearono allora delle nuove città, le cosiddette bastides, disegnate secondo un piano prettamente «americano» – una scacchiera –, per insediarvi popolazioni sradicate dai loro paesi d’origine. E giusto, naturalmente, invocare le ragioni strategiche o utilitarie che in circostanze del genere fecero di nuovo prevalere l’impianto urbanistico romano. Tuttavia, come tutto ciò che ha a che vedere col medioevo, non bisogna affatto trascurare il punto di vista religioso. Degno di nota è per esempio – e lo rileva anche il Lavedan –, che fra le prime bastides sorte siano da citare nomi del Roussillon, come Sairit-Genis-des-Fontaines, nei quali sono nati i complessi iconografici di spirito apocalittico che hanno dato il la all’arte della Linguadoca e che riflettono nuovamente la diffusa tendenza a imitare la Città celeste, con la porta avente valore di sbarramento, di interdizione, oppure profilattico. La prevalenza del piano di nuovo quadrato si pone infatti in intima relazione con la diffusione del piano quadrato-cubico delle chiese, completo di nartece, chiostri, ecc., che invaderà tutta la Francia sud occidentale. La chiesa ora non si trovava più necessariamente al centro. Nella bastide sono comunemente il pozzo e l’albero a occupare questa posizione, conformemente al testo dell’Apocalisse: come «la Città non ha più bisogno del sole che la illumini», così la chiesa-fortezza non è che un bastione come tutti gli altri, con tanto di porta a cui montare la guardia. Nel Roussillon, a Cuxa e a Serrabone, questa porta ha ereditato l’aspetto delle porte di difesa carolingie, tipo quella di Lorsch, e ospita una cappella dedicata a san Michele: l’immagine dell’arcangelo in vesti sacerdotali, come nell’arte bizantina, si trova al piano superiore. Particolari, questi, che ci fanno venire in mente le immagini di Michele e di Gabriele che difendono l’ingresso della chiesa di Kodja-Kolessi, in Asia Minore, iscritte sui piedritti.
La posizione della chiesa così in disparte si spiega anche col fatto che i fondatori di bastides erano in larga maggioranza signori laici; e il quadrato, infatti, il Quattro, evocava il mondo.
Ma laicità o mondo, nel medioevo, non volevano dire estraneità alle cose della fede o al misticismo. Il diploma di fondazione della bastide di Montauban mostra chiaramente con quale e quanto entusiasmo venissero elevate queste città nuove; emerge perfettamente il simbolismo dei numeri mistici. Vero è infatti che la chiesa non è più il centro sacro, ma al suo posto ecco la piazza quadrata destinata agli scambi e utilizzabile come riparo momentaneo per armenti e mercanti, circondata da portici su cui poggiano le case, coperti da volte ogivali identiche alle volte delle chiese. Troviamo tutto ciò, per esempio, a Villeréal.
Il testo a cui abbiamo appena fatto cenno a proposito di Montauban ha tutta l’aria d’una chanson de geste e ricorda perfino l’Apocalisse: «Ecco il palazzo con i muri aperti da quattro porte… Sulla rupe maestra che scende a picco hanno eretto la dimora più alta ed hanno richiesto al popolo, alla brava gente, di venire ad abitare nel castello, purché paghino lealmente canoni e diritti… Ed ecco 500 borghesi che vengono più che volentieri e popolano in comune la rocca fortificata». Vengono quindi citate le professioni: ci sono fittavoli, pescatori, fornai, mercanti «che fanno negozio fin nelle Indie Maggiori». Il numero di cinquecento è evidentemente simbolico: il cinque, numero esoterico, è quello della materia penetrata da Dio, cioè dell’uomo. Nel romanzo di Perceval, di Chrétien de Troyes, il Palazzo delle regine ha cinquecento finestre; le dame stesse, a loro volta, hanno al proprio servizio cinquecento fra scudieri e giovani valletti.
Lessico dei Simboli Medievali, Jaca Book, Milano 1989, pp. 119-121