Sezione: Studi
La croce rende esplicito il mistero del centro. Essa è diffusione, emanazione, ma anche riunione, sintesi. È il più completo di tutti i simboli; nessun’altro quanto questo sa condensare nel più essenziale dei segni la più vasta delle sintesi. Forse è il simbolo più universale, infatti tutte le civiltà lo hanno compreso nel proprio patrimonio simbologico. La croce costituisce l’elemento fondamentale dello schema alla base delie immagini del mondo o del luogo sacro. È un simbolo spaziale e temporale e questa proprietà privilegiata lo rende adatto ad esprimere il mistero del cosmo animato.
Per questo essa si sovrappone sempre – in un modo o nell’altro, e con una sovrapposizione non tanto geometrica quanto immaginaria – al tempio cosmico che è la chiesa. La chiesa costituisce la sintesi liturgica dell’universo animato da Dio, dell’universo reso presente dalla epifania permanente delle strutture e dei cicli naturali. La chiesa è al centro del mondo, e l’uomo liturgico è al centro della chiesa. In essa e per essa, egli si orienta e con il suo orientarsi determina la direzione e il senso del mondo. Egli lo ricapitola e così lo dilata nell’espansione cruciforme. La croce del microcosmo-chiesa non è tanto quella costituita dal suo perimetro (la navata che si incrocia con i bracci del transetto, dal momento che questa forma può fare difetto) quanto quello della sua intima espansione nelle quattro direzioni dello spazio. È questa relazione psicologica, così imperativa nell’uomo, che gli conferisce misteriosamente la coestensione dei quattro orizzonti, dei quattro venti dello spazio. È ancora essa che inscrive nello spazio il cerchio delle stagioni, scandito dall’alternanza rituale dei solstizi e degli equinozi che sono i quattro punti cardinali del ciclo liturgico (Natale, Pasqua, San Giovanni, San Michele). È ancora essa che salda la croce cardinale terrestre sulla celeste e fonda il simbolismo dei loro rapporti. Questo rapporto è animazione, e la sua espressione più vivamente percepita dalla psiche umana è quella della rotazione della sfera del mondo attorno al suo asse polare; tale asse è perpendicolare al grande cerchio dell’orizzonte, del luogo sacro, e forma con una qualsiasi delle parallele al suolo una croce, questa volta drizzata verticalmente.
Queste due croci, croce orizzontale, d’orientamento cardinale, e croce verticale assiale, in realtà non sono che una sola croce: quella a tre dimensioni e a sei bracci che orna i campanili delle chiese orientali. In Occidente, essa assume la forma della girandola in cima ai campanili divisa alla base da una croce orizzontale orientata. Tale è la croce del mondo vivente, la croce che fa della chiesa il centro e la ripetizione del cosmo liturgico. Poiché essa è perfettamente coestensibile ai simboli del cosmo naturale non meno perfettamente misura il microcosmo che è la chiesa. In essa e per essa la vita e il movimento emanati dal polo celeste, simbolo di divinità, si trasmettono al centro sacro terrestre: all’altare, al santuario, alla chiesa, e raggiando da questo centro, a tutto l’universo.
La croce tridimensionale è la più perfetta immagine sacra del mondo. È il segno visibile della trinità nell’unità. Il sei caratterizza la creazione-emanazione; si ricordino l’opera di sei giorni e tutti i motivi sestuplici incontrati nel contesto della creazione, per esempio sui portali romanici ove si potrà incontrare sei volte la maschera della terra che vomita viticci tra cui giocano alcuni animali. Il settenario indica la conclusione e la pienezza (il settimo giorno) ottenuti quando si aggiunge al computo dei sei bracci il punto centrale da cui essi emanano o dove vengono riassorbiti nell’unità indifferenziata. Dio sta in questo centro: «Volgendo il suo sguardo verso queste sei estensioni come, verso un numero sempre uguale, egli conclude compiutamente il mondo; egli è l’inizio e la fine; in lui si compiono le sei fasi del tempo e da lui esse ricevono la loro indefinita estensione; là è il segreto del numero sette» (Clemente d’Alessandria).
La croce tridimensionale può essere rappresentata in modi assai differenti. Sulla superficie piana, la sua forma più semplice è la stella a sei bracci, più o meno regolari sia per la loro dimensione che per la disposizione; la verticale zenith-nadir appare spesso distinta dalla croce orizzontale e orientata da una freccia, una fiamma, un cerchio, un motivo qualsiasi. Si riconosce la forma nota del crisma , simbolo polivalente vecchio come il mondo, che la simbologia cristiana si è compiaciuta di utilizzare, dopo un semplice battesimo mentale che risultava sia dalla lettura della X e della P, le prime due lettere del nome di Cristo in greco, sia dall’incrocio di questa X con la I di Jesus. Il monogramma di Cristo diventava la formula simbolica della salvezza universale operata dalla croce di Gesù Cristo.
Crisma
Quest’ultima non appariva sul labaro di Costantino, mentre compariva il crisma; la conversione dell’imperatore consentì la sostituzione con mezzo secolo di ritardo: l’impero divenuto cristiano, abolendo il supplizio della croce, soppresse l’odiosa sensazione connessa allo strumento di tortura finché restò in uso; verso la fine del IV secolo il segno, spogliato di quel senso, diviene degno di rivestire la livrea di gloria sopra il segno delle ferite. La croce latina compare in seno al crisma stesso ma conserva in alto l’anello che ricorda la P e costringe a rilevare nell’incrocio l’antica X raddrizzata. All’inizio del V secolo l’anello sparisce, e nasce la nostra tradizionale croce cristiana. Il crisma viene usato ancora, anzi in quest’epoca raggiunge le sue espressioni più perfette e trae dalla croce latina l’alfa e l’omega che spesso e volentieri gli vengono associate per assicurargli una cristianizzazione aliena da ogni equivoco segnico: questo riferimento al Cristo dell’Apocalisse, Pantocratore e Maestro del tempo, conferisce al vecchio simbolo le dimensioni della Rivelazione. Il mosaico del battistero di Albenga (V-VI secolo) rappresenta a questo proposito un vero capolavoro. Tutta la simbologia dell’emanazione-espansione, dell’’exitus-reditus, che abbiamo osservato sul piano dei fenomeni naturali e che abbiamo visto sottesa alla presentazione, da parte di san Paolo e dei Padri della Chiesa, del mistero dell’amore di Cristo, è qui presente.
Albenga, Battistero: Mosaico: Crisma
Si noteranno il centro origine, i cerchi disposti in triplice risalto (allusione trinitaria), la croce tridimensionale dei crismi, gli alfa e omega, le dodici colombe che rendevano presente la Chiesa universale diffusa in tutto il mondo, occupando il quadrato terrestre segnato ai quattro angoli dalle quattro stelle.
Si giunge così alla simbologia del tracciato di consacrazione delle chiese che si riassume in un segno, e precisamente nel crisma inquadrato dall’alfa e dall’omega. Il crisma è il simbolo del tempio cristiano considerato nel suo dinamismo liturgico che mira a fare del mondo umanizzato il corpo consacrato del Pantocratore: «Il corpo di Cristo è la Chiesa» (san Paolo).
Simbolo dell’universo, simbolo della chiesa di pietra, la croce tridimensionale è ugualmente il simbolo dell’ultimo microcosmo della catena, l’uomo. La sagoma dell’uomo con le braccia aperte evoca spontaneamente quella della croce eretta; questo tracciato però è semplicemente uno schema incompleto; se infatti esso esprime a meraviglia l’orientazione verticale ed ascensionale dell’uomo come pure la sua lateralità destra e sinistra, non fa apparire la seconda dimensione della sua intima croce orizzontale: il davanti-dietro che privilegia l’incrocio laterale (ciò è ancor più chiaro nell’animale a quattro zampe che ha solo due dimensioni fondamentali: il davanti-dietro e la lateralità). La croce tridimensionale è la croce completa dell’uomo: essa struttura la sua spina dorsale che costituisce l’asse verticale dell’organismo. La simbologia dei microcosmi-macrocosmi si rivela perfettamente omogenea a tutti i livelli.
La croce completa del Cristo salvatore non è né panteista né semplicemente d’ordine naturale. La sua coestensione al mondo è opera dell’amore universale e ricreatore di Gesù. I simboli sensibili aprono alle realtà spirituali. «Radicati in questo amore voi riceverete la capacità di comprendere con tutti i santi ciò che è la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, voi conoscerete l’amore di Cristo che va oltre ogni conoscenza ed entrerete per la vostra pienezza nella pienezza di Dio» (Lettera agli Efesini, cap. III). Vi si riconosce la simbologia storica diffusa al tempo dell’apostolo per designare la totalità dell’universo. Di comune accordo, i Padri della chiesa hanno interpretato questo testo leggendovi la croce cosmica di Cristo che invade l’universo per ricrearlo, quella croce che i Greci chiamavano «sèmeion ekpétaséôs», il segno dell’estensione. Il testo più classico dell’antichità cristiana a questo proposito è quello di sant’Ireneo: «Per obbedienza cui è stato fedele fino alla morte sul legno della croce, il Verbo ha espiato l’antica disobbedienza (quella dei nostri progenitori). E dal momento che Egli è il Verbo onnipotente la cui invisibile presenza è estesa in noi e riempie il mondo intero, la sua azione sul mondo continua ad esercitarsi in tutta la sua lunghezza, larghezza, altezza e profondità. Grazie al Verbo di Dio, tutto è sotto l’influenza dell’opera redentrice e il Figlio di Dio, con la sua benedizione, ha posto il segno della croce su tutte le cose. Perché era giusto e necessario che colui che si è reso visibile conducesse tutte le cose visibili a partecipare alla croce, ed è così che sotto una forma sensibile la sua influenza si è fatta sentire nelle cose visibili stesse. Infatti è lui che illumina le altezze cioè i cieli, lui che penetra le profondità di quaggiù, lui che percorre la lunga distesa dall’Oriente all’Occidente, lui che congiunge lo spazio immenso da nord a sud richiamando gli uomini dispersi in tutti i luoghi alla conoscenza del Padre».
Il Cristo morendo inchiodato ad una traversa fissata ad un palo ne ha fatto il segno storico del compiersi del disegno divino.
Per il credente, la croce primaria è l’ultima nella storia: quella che fu piantata nella sera dei tempi sul Golgota, una croce silenziosa che con le sue braccia aperte esprime un amore grande come il mondo non aveva mai conosciuto. Un amore che ha trovato nello strumento del sacrificio il simbolo della sua grandezza. La passione di Cristo ha trasfigurato il segno della croce; ormai, al di là dell’antica immagine, è l’universale e misteriosa bontà del suo Signore che l’uomo redento percepisce e venera. Attraverso la comunione con il segno sacro, egli penetra nelle vertiginose profondità del disegno di Dio sul mondo, così come diceva san Paolo agli Efesini.
«Dalla croce su cui morì il Verbo creatore del mondo, il cristiano sposta lo sguardo verso il cielo stellato in cui si muove il cerchio di Elios e di Selene. Quindi, se egli si addentra nelle più profonde strutture del cosmo o penetra le leggi della costituzione del corpo umano, dappertutto – e fino nella forma dei più piccoli oggetti familiari – egli vede impresso il misterioso sigillo: la croce del suo Signore ha mutato radicalmente il mondo». Se egli considera la croce tridimensionale di san Paolo, essa è per lui «la legge della costruzione, lo schema fondamentale che Dio imprime ad ogni sua opera, quel Dio che segretamente, fin dalle origini, teneva gli occhi fissi sulla croce di suo Figlio» (H. Rahner). Certo, è proprio nel suo mistero «che sono state create tutte le cose, nei cieli e sulla terra, create da lui e per lui» (Lettera ai Colossesi, cap. I). Se egli scopre negli scritti di Platone che la grande X costituita dall’intersezione del cerchio dell’equatore con quello dell’eclittica disegna sulle nostre teste una croce piana che è il simbolo dell’anima del mondo, egli vede in ciò il grandioso annuncio della croce-in-cielo di Cristo.
San Cirillo di Gerusalemme spiega ai suoi catecumeni: «Dio ha steso le mani sulla croce per abbracciare le estremità dell’universo. Anche il monte Golgota è diventato il perno del mondo». Con Firmico Materno, il perno diventa l’asse dinamico che unisce cielo e terra: «Il legno della croce sostiene la volta celeste, e consolida le fondamenta della terra». E così pure mette in comunicazione i piani del mondo, costituitivi del luogo sacro. Andrea di Creta, riprendendo san Paolo, fa una litania della croce: «Riconciliazione del mondo, determinazione delle frontiere terrestri, altezza del cielo, profondità della terra, legame che unisce la creazione, lunghezza di tutte le cose visibili e larghezza dell’universo!».
«Il segno della croce apparirà nel cielo il giorno del Giudizio finale», canta l’inno della festa dell’Esaltazione della santa Croce nella liturgia latina.
La croce salda il ciclo del tempo del mondo, il grande cerchio creazionale: essa pone su tutte le cose il sigillo ultimo che le giudicherà secondo l’amore incarnato: «O croce piantata nella terra che rechi frutti in cielo! O nome della croce che racchiudi in te l’universo! Salute a te, o croce che tieni legato il cerchio del mondo! Salute, o croce che hai saputo dare alla tua sembianza informe una forma piena di senso profondo!» (Atti apocrifi di Andrea). Essa è il polo e il motore immobile di un mondo in movimento; stat crux dum volvitur orbis, la croce sta fissa mentre il mondo ruota: è il motto dei monaci.
L’uomo stesso trova nella croce l’espressione sintetica della sua intrinseca identità strutturale con il cosmo, con il vivente e con il cielo che lo chiama. Egli vi legge anche il segno della sua irriducibile originalità. «Fisicamente l’uomo non differisce in nulla dagli altri animali, fuorché per il fatto che egli è diritto (verticalizzazione-umanizzazione) e può stendere le mani» (Giustino). Inoltre, egli, anch’egli croce viva e attiva, croce eretta, può conservare e concludere il cerchio del mondo iscrivendosi all’interno del suo disegno, può ricreare in sé il mondo tracciando le fondamenta dei suoi santuari.
Solsona, Museo Diocesano – Affresco (proveniente da Pedret): L’uomo, centro del mondo
«La volta celeste non è forse anch’essa a forma di croce? E l’uomo che cammina, che alza le braccia, anch’egli descrive una croce… Per questo noi dobbiamo pregare con le braccia stese, al fine di esprimere fino nell’atteggiamento le sofferenze del Signore» (Massimo di Torino). Perché dopo tutto è sempre di Lui che si tratta. «Così tutto si riempie del mistero amato. Questo punto di vista è decisivo per la comprensione dell’arte cristiana. C’è un mistero nella piattezza e nella semplicità apparenti dei simboli della croce che si vedono dipinti o incisi rozzamente nelle catacombe, così come nella semplicità primitiva della posizione del cristiano in preghiera. L’uomo antico possiede ancora un senso assai vivo dell’opposizione, per così dire dialettica, tra l’insignificante gesto da nulla, o simbolo e il contenuto grandissimo che vi si nasconde». (Rahner). L’arte romanica risulta impregnata di questa sensazione che costituisce il fondamento dell’arte sacra. Essa ha conservato vivamente questa intuizione fondamentale che la forza dei simboli risiede in un contrasto paradossale tra l’inesprimibile realtà significata e l’irrilevanza del simbolo che ad essa conduce.
La croce è il grande segno cosmico; il segno dell’universo, il segno dell’uomo; il segno di Dio presente e agente in entrambi. È allo stesso modo un segno biblico, un segno storico, un segno personale: e di nuovo si verifica il contrasto incredibile tra questo insignificante simbolo con l’incommensurabile e adorabile ricchezza del mistero della Croce di Gesù Figlio di Dio che lo fa essere fra tutti i simboli il più evocativo.
Autore | Gerard de Champeaux; dom Sebastien Sterckx |
Pubblicazione | I simboli del medioevo |
Editore | Jaca Book |
Luogo | Milano |
Anno | 1981 |
Pagine | 369-374 |