Sezione: Lessico
Abbiamo già parlato del ruolo importante che ha il crisma nella zona mesopotamica. Esso si presenta qui come un tema circolare analogo al Tetramorfo, sempre da solo, e implica i significati più diversi. Esempio tipico è il crisma che campeggia sul timpano di Jaca. Immagine della Trinità, come afferma l’iscrizione che lo accompagna, è anche l’immagine del Sole di Giustizia, perché iscritto in un cerchio perfetto, con Otto fiori che si alternano ai suoi otto bracci. A quest’ultimo proposito, una precisazione è bene fare subito: il crisma romanico ha poco a che vedere col crisma orientale autentico, che presentava non Otto, ma sei bracci, formati dalla sovrapposizione delle due lettere greche khi (X) e ro (P): la ro come tale è infatti scomparsa nel crisma romanico, sostituita da una semplice asta verticale, però in compenso si è inserita una barra orizzontale, che viene così a formare l’immagine della croce eretta, con la quale, aggiunta alla khi si completa l’alleanza simbolica della croce suddetta con la croce rovesciata e si determina implicitamente la figura del sole, della croce dei venti – ovverossia l’otto, simbolo della vita futura. Ricordiamo inoltre che a Jaca il crisma, Sole di Giustizia, è fiancheggiato da due leoni, che implicano, con la loro asimmetria, un significato di giudizio: la coerenza è evidente.
Su certi timpani del Rouergue, al crisma sono congiunti dei fioroni eminentemente simbolici. L’insieme evoca, con l’ausilio di questi schemi astratti, l’avvento della Città futura. Per questo, infatti, a Coupiac (Aveyron), si è inserito il famoso crisma a Otto bracci entro una corona e poi dentro un quadrato inclinato di 90° .
Negli angoli del suddetto quadrato inclinato si trovano quattro fiori che alludono chiaramente ai quattro Animali: un quadrato, il loro, che intende evocare il livello celeste. Quello di sinistra ha quattordici petali, per dare l’idea dell’incarnazione, dell’Uomo. Quello inferiore è una margherita con quattro petali a forma di croce, ed è simbolo del Bue. Quello in alto di petali ne ha Otto, e corrisponde al Leone – ma i suoi petali non tracciano nessuna linea chiaramente verticale: i due superiori disegnano se mai una V. Al contrario, questo, della margherita di destra, che ha anch’essa Otto petali e che corrisponde a sua volta al livello supremo, quello dell’Aquila. L’insieme inoltre è circondato da quattro efflorescenze, disposte in quadrato, che alludono invece al livello terrestre: le due che stanno alla base disegnano un pentacolo, evidente ulteriore riferimento alla figura dell’Uomo, mentre le due di sopra disegnano la croce eretta, simbolo dell’uomo vivente in questo mondo e che per ciò stesso ha ancora bisogno della croce redentrice. Che l’inclinazione conferita al quadrato sia un fatto voluto è confermato dall’altra croce eretta che appare iscritta in un piccolo cerchio al centro del crisma: è una croce che ha subito una leggera deviazione verso destra, ma si tratta di un’inclinazione che non ha nulla a che spartire con l’inclinazione del quadrato (il quadrato della Gerusalemme celeste) e neppure con quella dell’asta della khi alla cui estremità sventola un’omega. Tutto ciò vuole indicare che se è vero che non siamo lontani dalla fine, altrettanto vero è che i tempi non sono ancora maturi e che «noi non sappiamo né il giorno né l’ora». Vengono a essere distinti, in questo modo, tre diversi gradi di rotazione, segnati dalla cornice e dai quattro fiori, e infine, a delimitare il tutto, le ali dei due angeli posti dall’uno e dall’altro lato. Tutto ciò fa rassomigliare questo complesso, in maniera davvero sbalorditiva, all’immagine dei tempi futuri fornita da quello che è stato impropriamente chiamato il «calendario azteco», nel quale le successive fini del mondo sono indicate da quattro animali con al centro una croce rovesciata: somiglianza invero sconcertante col Tetramorfo romanico e prova, visto che le opere dei due continenti sono contemporanee, della comunione che potevano raggiungere a quell’epoca i simboli, su scala mondiale.
Bisogna analizzare anche i fioroni del timpano di Lévinhac che circondano egualmente un crisma, figurazione dell’eterno Sole; vi si può scorgere una rotazione paragonabile a quella dei fiori precedenti, però il pensiero guida non è lo stesso. Emerge piuttosto la plasticità di un elemento simbolico che può adattarsi ai pensieri più vari: mentre infatti a Beaulieu e a Moissac i fiori di cardo, minacciati da mostri diversi, rimangono apparentemente intatti, qui invece si vede come possano questi fiori, espressione di un certo sistema del mondo, degradarsi progressivamente: le tappe di questa degradazione progressiva si leggono attorno al crisma centra le a Otto bracci, inquadrato dagli angeli e, alle estremità, dal sole e dalla luna, secondo l’ordine tetramorfico: al posto abituale dell’Uomo, in alto a sinistra, sembra che si sia voluto evocare il sistema propriamente celeste, la rotazione delle sfere, facendo ricorso a un cerchio e a delle ellissi che disegnano, con le linee di una croce diritta e di una croce rovesciata, una rosa dei venti; in basso a destra, al posto del Bue, appare il mondo terrestre, sotto l’aspetto di un’altra figura circolare, che presenta al centro un fiorone a sei petali, ad immagine del crisma letterale (il Cristo), attorno al quale gravitano dodici fiori a sei o sette petali (gli Apostoli). Si tratta dunque della Chiesa; i fiori esterni che toccano il bordo del cerchio e che sono da esso tagliati in due indicano che gli Apostoli si spingono fino alle estremità del mondo. In effetti, il Cristo ha ripetutamente affermato che quando tutti i popoli saranno stati evangelizzati e il suo insegnamento sarà conosciuto da tutta la terra, allora egli farà ritorno. In basso a sinistra, al Leone simbolo di morte e di resurrezione corrisponde il fiorone a intrecci che ripete la figurazione dell’incrocio e che tende all’annullamento del cerchio magico con l’ausilio di undici avvolgimenti che segmentano la linea circolare. Infine, ultimo termine a destra in alto, il tema dell’Aquila, sostituito da un mostro androfago, la bocca dell’Inferno, che sta appunto ingoiando un uomo. L’immagine del gufo, al di sopra dell’archivolto, sta a indicare che il regno delle tenebre trionfa; i motivi delle modanature rendono più evidente questo significato: quello della modanatura esterna, assai simile a una greca, disegna delle specie di S dai contorni squadrati e piegate a sinistra, mentre sulla modanatura interna la fascia di quadrettature a scacchiera, termine di significato terrestre, sembra volere esprimere l’alternanza dei giorni e delle notti. C’è infine un terzo motivo, a fogliami, che nella prospettiva generale di portali mesopotamici, con i loro angeli annunciatori, è indizio di una insistenza sul mondo presente più che sul mondo ripristinato.
Lessico dei Simboli Medievali, Jaca Book, Milano 1989, pp. 135-136