Sezione: Lessico
Il tema della porta e della chiave, sviluppato in molti modi in entrambe le zone, rappresenta una porta di città, uno sbarramento di difesa, e mostra con evidenza la tendenza esoterica, iniziatica, dell’iconografia romanica. In numerose chiese, in certi chiostri, come quello di Le Puy, perfino in alcune cripte (Hagetmau), i filari di arcate non sono altro, simbolicamente, che delle serie di porte da varcare; per riuscirvi, bisogna meritarselo: l’idea suddetta appare esposta, ovviamente, in maniera particolarmente chiara nelle chiese che presentano il tema delle tappe, vuoi sui capitelli, secondo la disposizione interna del sud est (Vienne, Roziers), vuoi nell’abside, secondo la disposizione, anch’essa interna ma absidale, vuoi sulla facciata, secondo la disposizione anteriore più diffusa nella zona mesopotamica: León, Compostella… Ma altresì, in un’ottica più negativa, in quanto strumenti di interdizione, sia le allegorie imperniate sulla presenza dei leoni ai lati degli ingressi (Tolosa, Compostella), sia gli uomini col leone ritratti sui capitelli secondo la disposizione anteriore e al tempo stesso interna di Jaca e di León, sono là appositamente per impedire il superamento della soglia, anche se poi il culmine di tale impedimento è delegato alla porta per eccellenza, quella che ostruisce l’accesso al coro. La cosa è particolarmente chiara a Jaca, dove i vari uomini col leone, specialmente quelli più vicini agli ingressi, ci pongono, trattandosi di figure giovanili, in una prospettiva terrestre. Il tema di un capitello dell’arco trionfale, che fa riscontro alla pigna sacra di quello dirimpetto, ha significato cosmico: gli uomini col leone si collocano qui nella prospettiva del ritorno alla terra, cioè alla morte: sono infatti raffigurati di dimensioni minuscole, agli angoli del capitello, mentre tutta l’attenzione è concentrata sulla maschera fiancheggiata dai due uccelli che si fronteggiano, al centro del càlato; l’insieme è sovrastato da quattro spirali, simboli della terra.
Se il Cristo o la Vergine sono, in assoluto, le figure privilegiate che figurano nel timpano, ciò è il risultato, da un lato, dell’assimilazione del Cristo con la porta – «Io sono la porta delle pecore» –, dall’altro, per la Vergine, della sua maternità divina: il Cielo, e quindi l’apertura della porta, è infatti promesso ai «puri» e la Vergine, simbolo della Chiesa, apre la porta perché essa è rimasta pura dando alla luce il Figlio di Dio.
Sotto questo profilo, la vera porta della chiesa è quella che compongono gli archivolti della Saintonge – privi di timpano, non dimentichiamolo. Émile Mâle ha dimostrato con grande pertinenza come il concetto delle tappe della vita sia qui riflesso, dall’esterno all’interno, nei lavori dei mesi, ordine del mondo, mentre le Virtù che abbattono i Vizi, o le Vergini sagge e le Vergini stolte, costituiscono, per il fatto di esprimere l’idea del giudizio, l’ordine intermedio, e l’Agnello, o la mano divina, l’ordine celeste. Eppure, non sempre ci sono tre archivolti. A Pont-l’Abbé-d’Arnoult ce ne sono cinque (al centro sono stati messi insieme laici e chierici) e ad Aulnay ce ne sono quattro. In questo caso il simbolismo della porta è particolarmente evidente, in quanto trattasi della porta del Cielo che si schiude a coloro che hanno praticato le Virtù e soprattutto alle Vergini sagge, ma che rimane interdetta agli altri: Vizi o Vergini stolte. Questa porta si trova alla destra del Cristo, dal lato delle Vergini stolte, ed essa è per tanto la porta sbarrata. Viceversa, i solstizi e il segno zodiacale del Cancro collegato al Cristo che si scorgono sull’archivolto esterno, all’inizio della fase decrescente dell’anno, sono le pone del Cielo. Ma quella che apre veramente e più sicuramente il Cielo è la corona, la cui forma circolare ne costituisce una evocazione più perfetta di quella offerta dall’arco: è appunto la corona che si vede, solamente di profilo, sull’archivolto delle Virtù e della Psicomachia, nello stesso asse verticale del Cristo e del Cancro. Essa, infine, vista di faccia stavolta, si presenta al livello celeste, come aureola dell’Agnello.
San Michele si trova talvolta associato alla porta del Cielo come Lucifero a quella dell’Inferno, per esempio nel Giudizio finale di Conques. Ma il vero portinaio è, beninteso, san Pietro, munito della sua doppia chiave «per legare e sciogliere», secondo le parole del Vangelo. Uno dei temi fondamentali, particolarmente amato da Cluny, della quale i santi suddetti erano i protettori, è quello della Traditio legis a san Paolo e della Donatio clavis a san Pietro, i santi più spesso raffigurati sui timpani, sui piedritti o nei pennacchi dei portali romanici, oltre che negli affreschi absidali e al termine del programma iconografico dei capitelli. Ciò che dimostra l’importanza attribuita a tali santi è la posizione di cerniera che hanno i temi dell’Apostolo Pietro che condanna Simon Mago della sua fuga dalla prigione e del suo incontro con Gesù sulla Via Appia (Quo vadis?). Un soggetto del genere è, al pari degli «angeli avvisatori», uno strumento per ricondurre i fedeli al mondo presente, dal momento che non si sa «né il giorno né l’ora». Nello stesso spirito va notato il significato terrestre, negativo, che rispetto alla Crocifissione del Figlio di Dio ha invece quella a testa in giù subita dal primo Apostolo.
Il confronto con Simon Mago (Elne, porta Miégeville di Tolosa, ecc.) rende tangibile il potere attribuito alla chiave, come nei misteri e nelle iniziazioni, e contestualmente all’Apostolo. Spesso la chiave è gigantesca, a simiglianza dell’ankh egiziano, evocatore anch’esso della Vita – soprattutto quando, come a EIne, in un tema generalmente mal compreso che compare su un pilastro dopo una serie di scene della Genesi, si vede san Pietro che resuscita Bradulo. Non meglio compresa è stata, sulla faccia vicina, la scena, attinta anch’essa dalla Leggenda aurea, del «Re e dei Cavalieri», nella quale questi ultimi, appena scesi da cavallo, stanno per inginocchiarsi dinanzi a un re: si tratta, in realtà, di Nerone che riconosce il superiore valore di san Pietro, dopo avere assistito ai suoi miracoli; l’abbigliamento da cavaliere non deve sorprendere: san Pietro era il patrono dei cavalieri. In un programma esoterico, il ciclo di cui sopra precede il programma apocalittico finale che riassume tutta la storia del mondo.
Se queste chiavi sono sovente di proporzioni enormi, assolutamente irrealistiche, la colpa non è necessariamente della imperizia degli scultori. E il caso, per esempio, di Pouilly-les-Feurs, dove, sul capitello destro del portale, si vede san Pietro ricevere una chiave alta quanto lui. Gli fanno riscontro i leoni minacciosi dell’altro capitello. Altri leoni si fronteggiano a Saint-Rambert alle due estremità dell’architrave; il tema non fa che accentuare l’idea di interdizione. Chiavi di dimensioni non comuni che mentano di essere segnalate sono ancora quelle di Carennac, di Conques, per non parlare dell’architrave di Mozat, dove san Pietro appare ai piedi della Madonna col Bambino. San Pietro e san Paolo fiancheggiano il Cristo sul timpano del Saint-Saveur a Nevers; una iscrizione, oltremodo indicativa della importanza che veniva data alla chiave, dice testualmente: Visibus humanis monstratur mystica clavis, ovverosia: «L’occhio dell’uomo può contemplare la chiave mistica». Il posto preminente accordato a san Pietro e alla sua chiave si può vedere sul bassorilievo di Souillac, a destra, e sul timpano di Beaulieu anche, dove, con le gambe incrociate a X, egli si volge verso il Cristo Giudice. Sulla porta Miégeville, l’importanza incomparabile di san Pietro, verso il quale tutto converge, è rappresentata ancora una volta dalla sua collocazione sul lato destro; la si direbbe, fra l’altro, una replica del programma di Elne, poiché l’Apostolo si trova associato alla Genesi illustrata sui capitelli e alle leonesse impudiche, simboli del peccato e dei rimorsi conseguenti alla caduta del primo uomo; inoltre, trionfa su Simon Mago.

Va notato infatti che san Giacomo, nonostante la posizione eminente che gli è stata assegnata, resta subordinato al principe degli Apostoli sovrastato da angeli che recano gli attributi del papato; è girato, come ognuno può vedere, verso di lui, ma in atteggiamento di modestia.

Tutto ciò ha come obiettivo la lotta all’eresia; lo stesso obiettivo degli «angeli avvisatori»: affermare cioè che dobbiamo attenerci alla realtà in cui siamo immersi senza perderci dietro a illusorie credenze nel Ritorno immediato del Cristo. Ed è quali emblemi delle «anime che aspettano ai piedi dell’altare» che bisogna interpretare, nella stessa prospettiva, i due uomini accovacciati ai lati del cuore, sulla testa dello stesso san Giacomo.
Ma ritorniamo ad Aulnay, dove si delinea chiaramente una concezione analoga. Abbiamo già parlato della porta chiusa in faccia alle Vergini folli e dell’accesso al Cielo rappresentato dall’aureola dell’Agnello, la vittima dei nostri peccati e nostro solo garante. Al supplizio dell’Apostolo, sotto l’arco di sinistra della facciata, fa riscontro a destra la figurazione del Giudizio alla moda bizantina, con la Vergine e san Giovanni ai lati del Cristo. Era sotto questo arco che venivano celebrati i battesimi. La scena è scolpita nella pietra di migliore qualità e conserva tracce di pittura, doppia prova della cura di cui essa è stata fatta oggetto. Il fregio verticale in facciavista che riveste le due arcature cieche simboleggia la strada verticale, quella del Cielo, e non è azzardato pensare che, al pari della coppia di leoni, evocatrice dei due aspetti, inesorabile e mite, del Cristo, il martirio del santo e l’esaltazione del Signore si rivolgano direttamente agli eletti e ai dannati, ribadendo in questo modo il senso dei capitelli; le maschere della terra sono infatti visibili solo sui capitelli del portale centrale e dell’arcatura di sinistra, soprattutto nelle scene di dannazione; l’abate Chagnolleau interpreta il tema centrale dei capitelli dell’arcatura di destra – raffigurante il contrasto fra la Donna coi serpenti e i personaggi dalle grandi ali che escono dalle acque – come un riferimento al rito del battesimo che colà si svolgeva e alla promessa di beatitudine in esso contenuta. Tutti questi esempi sono la prova di una disposizione anteriore, compresi quelli offerti (alla loro maniera) dai capitelli della galleria meridionale del chiostro di EIne; infatti, se si organizza il programma procedendo da ovest a est, secondo una gradazione dal mondo perduto di quaggiù al mondo redento del futuro, non troviamo che un unico lato del chiostro decorato con questa sequenza, completata la quale si sfocia nell’Apocalisse. L’intero complesso può essere letto con un solo sguardo, come si fa con la decorazione di una facciata o di un portale. Bisogna perciò distinguere questo programma da quelli di Le Puy e di Moissac, i quali rispondono a una perfetta disposizione interna, dal momento che in entrambi esso fa il giro in senso rotatorio. Gli esempi, comunque, in cui san Pietro compare in una autentica disposizione interna non sono meno significativi. La chiave del san Pietro che compare su uno dei capitelli della navata di Autun ha con ogni evidenza un significato iniziatico sia per le sue dimensioni, sia per la croce greca intagliata sul suo ingegno e volutamente messa in risalto. Con essa l’Apostolo sta chiudendo al Mago caduto la porta del Paradiso; questa esclusione si rivela tanto più pregnante in quanto la porta suddetta si presenta identica, ma ornata in modo diverso, nel caso di due prefigurazioni della Natività virginale: in quella degli Ebrei, già citati, e in quella di Daniele nutrito da Abacuc, che attraverso la porta sta appunto passando; l’arcata con funzioni di porta celeste si ritrova logicamente associata alle squame positive, girate verso l’alto, nell’Assunzione gloriosa della Vergine immacolata, che in questo modo apre prima dell’ora la porta della quale san Pietro detiene la chiave. Tale associazione si può vedere sulla facciata di Pont-l’Abbé-d’Arnoult (Charente), dove la Vergine appare sul lato nord, nell’Adorazione dei Magi, affiancata al tema dell’anima che sale al cielo portata dagli uccelli, mentre dall’altro lato, sotto l’arcata sud, si trova la Crocifissione di san Pietro.
Il lato meridionale del chiostro di Moissac, dedicato a delle tematiche apocalittiche – nelle quali la Città santa si contrappone alla Grande Babilonia, mentre al Cristo glorioso (Trasfigurazione, Battesimo, Tentazioni) e alla Carità, prima delle Virtù (parabola del Buon Samaritano), fanno riscontro gli Evangelisti con teste di animali, san Michele in lotta col drago e i quattro cavalieri – termina con l’Evasione di san Pietro dal carcere attraverso una porta polilobata; si tratta sempre, posta com’è accanto alle scene suddette, viste tutte come immagini premonitrici del Ritorno del Signore, di un modo per affermare che è in seno alla Chiesa che gli uomini debbono attendere la salvezza
Da notare, infine, che tanto la Donatio clavis quanto la Crocifissione dell’Apostolo o semplicemente la sua effigie sono motivi usuali negli affreschi absidali delle regioni della media Loira: Crocifissione di san Pietro a Tavant, a Nohant-Vicq… Nel triconco di Montoire, la cui decorazione tripartita ha un evidente valore simbolico che è stato magistralmente messo in risalto, l’abside propriamente detta, a oriente, presenta il Cristo fra i due Apostoli, in atto di donar loro il libro e le chiavi, mentre l’arco trionfale è decorato con le figure delle due Virtù che schiudono più e prima che tutte le altre la porta del Cielo: CASTITAS e PATIENTIA.
Lessico dei Simboli Medievali, Jaca Book, Milano 1989, pp. 239-242
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