L’albero nell’arte romanica

Sezione: Studi


in memoriam Matris dilectissimæ meæ:

arbor virtutum et suavitatis,

arbor vitæ et sapientiæ,

arbor amoris et fidei


Dal momento che l’albero è un simbolo del mistero della vita e dunque del sacro, esso ha presso tutte le civiltà la sua collocazione all’ingresso dei templi: come il guardiano della soglia, esso indica il confine con un altro mondo che, del resto, può anche evocare in quanto albero cosmico o pianta cosmica. Si capisce come l’albero venga rappresentato nei portali delle chiese; talvolta è più propriamente all’albero del Paradiso che allude. Il portale di Puyferrand-du-Chatelet è interamente nudo, salvo al centro dell’architrave un piccolo archivolto ornato dell’albero stilizzato: il motivo, qui, appare in tutta la sua purezza; è più sviluppato, invece, sui timpani di Mariana e Marigny.

Mariana, Chiesa di San Parteo – Architrave

Marigny, Chiesa di Saint-Pourçain – Timpano

Lo ritroviamo largamente impiegato a Murbach: si tratta, qui, dell’albero cosmico, la cui cima raggiunge il cielo, che invade l’universo intero, e le cui radici vigorosamente stilizzate in forma di branchie affondano nell’abisso sotterraneo. Il motivo dell’albero si arricchisce sul portale di Farges (Saône-et-Loire); le colonnette che riquadrano l’ingresso sono sormontate da due capitelli che rappresentano due varianti dello stesso soggetto: quello dei quattro alberi del mondo.

Farges-lès-Chalon, Chiesa di Santa Maria Maddalena – Portale, Capitello

Farges-lès-Chalon, Chiesa di Santa Maria Maddalena – Portale, Capitello

Il motivo appare cristianizzato sul celebre capitello dei quattro fiumi paradisiaci del Museo di Cluny: ogni fiume è associato ad un albero, uno per lato; tali alberi sono i più rappresentativi dell’abbondanza nell’ambito biblico: il fico, l’olivo, la vite, oltre il famoso melo; ciò che fa del Paradiso un microcosmo completo.

Cluny, Musée de Farinier – Capitello proveniente dall’antica Abbazia: I quattro fiumi del Paradiso

L’uomo è associato all’albero sul capitello sinistro del portale di Giornico (Svizzera). L’albero può invadere le volute, come nel portale di Avila (Spagna); vi dispiega, infatti, una vegetazione che evoca la pianta dell’immortalità o l’erba medicinale del Paradiso. Spesso verrà cristianizzata la vite delle parabole evangeliche, simbolo del credente, della chiesa e di Cristo che è la sua vita, come a Saint-Michel d’Aiguilhe.

Le Puy, Chiesa di Saint-Miguel d’Aiguilhe – Facciata

Nel contesto biblico, sul portale si rappresenterà una delle scene svoltesi attorno all’albero del Paradiso terrestre, quello che occupa il centro dell’arco. A Besse, in Dordogna, è il peccato originale commesso da Adamo ed Eva vestiti – cosa piuttosto eccezionale – che occupa l’arco del portale. Due angeli svolazzano attorno al semicerchio che inquadra la scena; mostrano l’albero con il dito e trasmettono un messaggio: forse l’avvertimento divino di non toccare il suo frutto. Eva volge il capo per ascoltare e certamente questo gesto allude anche al Protovangelo; Adamo porta la mano alla gola. Da entrambe le parti dietro ad essi, due piccoli alberi si elevano per indicare, come vedremo, il Paradiso; essi compaiono qui in soprannumero. Proprio sotto questo motivo, sulla curva inferiore, si trova un Agnus Dei con la sua croce, quella che ha riscattato i figli di Adamo. Ai due angeli che circondano la scena del peccato originale corrispondono, proprio al di sopra, due angeli che tengono una mandorla all’interno della quale un piccolo personaggio viene assunto in cielo; è la fine della storia della salvezza: l’uomo salvato dal Cristo nuovo Adamo, è condotto nel nuovo Paradiso, quello dei cieli.

Besse, Chiesa di San Martino – Portale, Arcata: Peccato originale

La facciata della cattedrale di Angoulême è interessante per vari motivi. Al centro, si scorgono due angeli ai piedi dell’albero della vita, lo sguardo fisso alla sua cima; l’albero – interrotto dalla larga fascia orizzontale dei medaglioni dei beati nei cieli – continua al di sopra per allargarsi infine ai piedi di Cristo. Il Cristo occupa il posto dell’uccello tradizionale, in cima all’albero, ma ne rende manifesto il simbolismo, poiché si tratta di un Cristo in ascesa che sta già penetrando fra le nubi vaganti al di sopra del suo capo. Numerosi concetti si sovrappongono: l’Albero della vera Vita è il Cristo, ed è anche la Chiesa di cui la chiesa di pietra è segno (tutta questa facciata è dedicata al tema della Chiesa); il mistero è quello di una crescita spirituale, concepita come un’ascensione retta al pari dell’albero, il più verticale tra i simboli vegetali. Gli angeli tutt’attorno rinforzano quest’idea di volo, di distacco dalla condizione terrena: privilegio di coloro che per la fede partecipano dell’ascensione di Cristo da quaggiù, nell’attesa di raggiungerlo dopo la morte, nella gloria.

Angoulême, Cattedrale di San Pietro – Facciata: Ascensione (Cristo attorniato dal Tetramorfo)

L’indagine deve essere completata dall’esame di un tema più particolare, quello dei due alberi, motivo codesto piuttosto diffuso. Sopra la porta meridionale di Bourgheim (Alsazia), l’albero si divide in due rispetto ad un’asse verticale, ed occupa tutto il timpano. La separazione, che nulla giustifica, è intenzionale: isola due alberi distinti che sono un motivo iconografico paleocristiano simboleggiante il Paradiso e più ancora il Paradiso ritrovato. Sull’architrave di Bergholtz-Zell in Alsazia, della prima metà dell’XI secolo, i due alberi del Paradiso sono carichi di frutti della felicità e popolati di beati sotto forma di uccelli; essi inquadrano la croce salvifica, dispensatrice di luce e di vita (la ruota solare). La decorazione appare più schematizzata sull’architrave di Mutzig: una croce circondata da due alberi e nulla più. Il portale del lato meridionale inferiore di Saint-Jean-les-Saverne (Basso Reno) riprende il tema semplicemente sostituendo alla croce salvifica l’Agnus Dei recante la croce.

Saint-Jean-les-Saverne, Chiesa abbaziale di San Giovanni Battista – Portale, Timpano: Agnus Dei

A Vézelay, Abramo accogliendo fra le braccia, cioè in Paradiso, l’anima di Lazzaro, si stacca da uno sfondo costituito da due alberi.

Vézelay, Basilica di Sainte-Madeleine – Navata, Capitello: Lazzaro nel seno di Abramo

Questi due alberi, uniti a due angeli, formano la decorazione celeste nella quale appare il Cristo in gloria sul timpano meridionale di Thuret (Puy-de-Dome).

Thuret, Chiesa di San Martino – Timpano: Cristo in gloria nella mandorla sorretta da due angeli

I miniaturisti medioevali ameranno rappresentare l’Albero della croce di Cristo fra questi due alberi e talvolta uniranno le due punte degli alberi nel centro della croce per sottolineare l’unità nel mistero dell’Albero centrale e dei due alberi tipologici laterali.

Londra, British Museum – Salterio di New Minster: Crocefisso tra due alberi, al centro del Tetramorfo

La figura mostra in più il crocifisso in mezzo ai quattro Viventi, nella gloria del Signore.

Hildesheim, Diözesanmus. mit Domschatzkammer – Evangeliario di San Bernoardo: Crocifissione

La figura si riconduce ugualmente ad un tetramorfo: il toro di Luca appare ai piedi di Cristo. L’ambiente cosmico circostante è sviluppato: il sole e la luna in alto, in basso l’acqua e la terra, ereditari dall’Antichità pagana, e che compaiono spesso sotto i crocifissi o sotto i Cristi in gloria, soprattutto verso l’epoca carolingia, nelle placche d’avorio degli evangeliari.

Come l’acqua e la terra, i due alberi appartengono all’arte pagana e più precisamente all’iconografia della terra e della sua fecondità. Talvolta si ritrovano nell’arte cristiana tali e quali; ma la fecondità tellurica è diventata abbondanza e felicità della nuova terra rigenerata da Cristo.

Il tema dei due alberi è vasto e complesso, e spesso è degenerato in semplice schema decorativo.

Parigi, Louvre – Coppa etrusca: I due alberi

La splendida coppa etrusca (metà del VI secolo a. C.), attualmente al Louvre, è semplicemente decorativa, ma è interessante distinguere il tema iconografico soggiacente. Nel centro, un uomo afferra con le mani i rami dei due alberi tra cui deve scegliere. Questi alberi sono diametralmente opposti e occupano l’intero disco dell’universo. Il personaggio si volge verso l’albero in cima al quale riposa tranquillamente un uccello; volge le spalle all’altro albero sul quale si scorge un nido verso cui vola un uccello con un insetto nel becco; ma il nido è minacciato da un serpente che si avvicina. Il fogliame dei due alberi non si confonde… È una versione del tema dei due alberi di cui uno dona la vita e l’altro la morte, e il cui tipo perfetto è rappresentato dai due alberi del Paradiso terrestre: non si vuole intendere che quanto di cattivo esiste sia uscito dalle mani del Creatore come un’insidia tesa all’uomo, ma che il comando dato da Dio alla sua creatura libera, per guidare la sua condotta morale e fare così la sua felicità, se trasgredito, comporta la rovina annunciata: «è successo che l’ordine dato per condurmi alla vita, mi ha condotto alla morte» (Romani, VII).

L’esempio precedente si chiarisce ancor di più se lo mettiamo a confronto con una versione romanica più esplicita. Per esempio quella del Liber floridus di Lamberto di Sant’Omero (prima del 1120).

Lamberto di Sant’Omero, Liber floridus – Miniatura: L’albero del Bene e l’albero del Male

In doppia pagina, i due alberi si oppongono dalle radici che si confondono nella piega di mezzo. Qui, è l’universo del mondo spirituale che si vuole esprimere: basta leggere le iscrizioni. L’antitesi contrappone da una parte l’Albero buono, la Chiesa, la fede e dall’altra l’Albero «cattivo», là Sinagoga, il Fico (le cui foglie vogliono rammentare la nudità impudica dei nostri progenitori dopo il peccato. Il fico è reso secco dalla maledizione di Nostro Signore). L’albero del bene è fiorito e splendente di colori; tutte le sue foglie sono diverse l’una dall’altra, ciascuna d’una specie rara e preziosa, simbolo di una virtù che è rappresentata in un medaglione posto come un frutto; alla radice, la carità. Le foglie dell’albero del male sono invece tutte uguali, avvizzite, tristemente monocrome e collegate ai medaglioni dei vizi; alla radice la scure annunciata da Giovanni Battista come segno del Giudizio imminente e il medaglione della madre di tutti i vizi raffigurata con duplice testa: cupiditas sive avaritìa, la ricerca sfrenata solo dei beni e dei piaceri terreni.

Il portale di Andlau, in Alsazia, è senza dubbio la più bella delle porte romaniche in cui compaia il tema dell’albero, a cui è interamente dedicato; il suo esame ci offre l’occasione di fare delle ulteriori osservazioni riguardo questo soggetto.

Andlau, Chiesa abbaziale – Portale occidentale

Il centro del timpano è occupato dalla scena monumentale della Traditio legis: il Cristo affida a san Pietro, che ha già il suo libro, una chiave, simbolo del potere di aprire e chiudere le porte del Regno dei Cieli; a san Paolo porge invece il libro delle Scritture, insieme all’intelligenza spirituale per comprenderle e che farà di lui il Dottore dei popoli.

La scena ha dunque come tema il mistero della Chiesa, di cui san Pietro e san Paolo sono, per usare l’espressione tradizionale, le due colonne. Su di loro sorge l’edificio spirituale, la Chiesa costruita con le pietre viventi che sono i fedeli. C’è l’esortazione che san Pietro rivolge ai fedeli nella sua prima epistola: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale». Ed anche i due stipiti della porta sono concepiti come una costruzione architettonica formata da sei archetti sovrapposti. Nei loro vani compaiono le coppie dei benefattori dell’abbazia che, con la loro generosità, hanno permesso la costruzione della chiesa e meritato di divenirne pietre vive. Un testo di Durand de Mende illustra questo concetto: «Come la chiesa corporale è fatta di pietre unite insieme, così quella spirituale è composta da un gran numero di uomini. Tutte le pietre delle pareti, levigate e squadrate, rappresentano i santi, cioè gli uomini puri che sono posti dalle mani del supremo artigiano a dimorare per sempre nella Chiesa. Essi sono uniti proprio come con il cemento dalla carità, fino a quando, divenute pietre vive della Sion celeste, saranno stretti dal vincolo della pace». Alla base di ogni stipite vi è un solo personaggio isolato, che incarna forse il gruppo dei benefattori non sposati che si saran voluti ricordare, nonostante il tema del portale dovesse essere quello della coppia umana. Peraltro, la Chiesa è un mistero di vita e di crescita.

E questo il motivo simboleggiato nei due fregi verticali a motivi vegetali mescolati a leoni e ad uccelli, fregi che affiancano gli stipiti ornati dei benefattori e che simboleggiano la vita spirituale che deve continuare ad animarli. Ai personaggi-atlanti corrispondono qui personaggi interrati o, per essere più precisi, radicati al suolo fino a metà corpo. Con entrambe le mani, essi afferrano i viticci che si intrecciano al di sopra delle loro teste, i cui fusti si riconducono ai motivi vegetali del fregio dell’architrave per metterne in evidenza la continuità tematica; il loro atteggiamento è quello che l’iconografia cristiana attribuisce di preferenza a Jesse. È chiaro, così, che i fedeli della Chiesa formano una pianta, un albero, e che questo albero deve crescere, irrobustirsi, per congiungersi finalmente con gli alberi del Paradiso raffigurati nell’architrave.

La vocazione cristiana è insieme individuale e collettiva. Alla nostra sinistra, il Creatore crea Eva dal costato di Adamo addormentato, mentre in secondo piano si staglia l’albero della vita. Attraverso un grazioso portico a cupola, Iahvè introduce i nostri progenitori nel Paradiso che ha preparato per loro: «Iahvè Dio piantò un giardino nell’Eden, a Oriente, e vi pose l’uomo che aveva modellato. Iahvè fece spuntare dal suolo ogni erba piacevole a vedersi e gradevole a mangiarsi e in mezzo l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male». E proprio quest’ultimo che scorgiamo in mezzo all’architrave. I due alberi, come spesso avviene, sono unificati poiché il testo sacro ora citato li colloca entrambi in mezzo al giardino, (cfr. Genesi, II, 9 e III, 3). Iahvè, tenendo per mano Adamo, che stringe a sua volta quella di Eva, li conduce presso l’albero. Essi sono nudi, ma ancora innocenti, senza vergogna e ignorano del tutto la loro nudità.

Saujon, Monastero di San Martino – Capitello: Pesatura delle anime

«E Iahvè Dio diede all’uomo questo comando: “Tu puoi mangiare di ogni albero del giardino ma dell’albero della conoscenza del bene e del male tu non mangerai perché il giorno in cui lo farai ne morirai certamente”». Quando Dio si fu allontanato, il serpente compare. Esso si rivolge alla donna: «Non è vero! Voi non morirete. Ma Dio sa che il giorno in cui mangerete di quest’albero, i vostri occhi si apriranno ed allora sarete come dei che conoscono il bene e il male… La donna vide che l’albero era buono a mangiarsi e allettante a vedersi e che quell’albero era desiderabile per acquistare il discernimento. Ella ne colse un frutto (con la mano destra) e ne mangiò; ne diede anche (con la mano sinistra) a suo marito: allora i loro occhi si aprirono ed essi videro che erano nudi; unirono delle foglie di fico e ne fecero due perizomi». In tal modo, li vediamo uscire dal Paradiso, tenendo con una mano la foglia e coprendosi il petto con l’altra in un gesto la cui ingenua similarità esprime la tragica profondità della loro comune confusione. L’angelo dalla spada folgorante li insegue alle spalle. All’estrema destra, essi sono seduti, di spalle, coprendosi ancora con le mani; non solo turbati dalla prima manifestazione del disordine generato dal peccato che essi percepiscono come concupiscenza sregolata ma anche sconvolti nell’armonia della loro vita coniugale: «La tua concupiscenza ti spingerà verso tuo marito ed egli dominerà su di te». Doppio egoismo che comunque allontana. Ormai, l’atto di generazione sia carnale che spirituale, sarà segnato dal peccato originale. Il portale di una chiesa evidentemente non si limita a questa visione del peccato. Il seguito della visione cristiana è esposto nel timpano: una piccola teologia della salvezza fondata sull’opposizione fra due alberi. Quello di sinistra privo di rami, spoglio, disseccato come il fico del Vangelo: immagine delle conseguenze determinate dal peccato. Una piccola figura, spogliata di ogni abito per ribadire la sua estrema miseria, tenta faticosamente di arrampicarvisi.

È la condizione dell’uomo decaduto che monta con pena lungo il tronco dell’albero cosmico la cui cima lambisce il cielo e al di sopra del quale san Pietro gli aprirà, grazie alla sua chiave, la porta della città celeste, il nuovo Paradiso. Di fronte, una vigna fertile, meravigliosamente rigogliosa: immagine della città celeste e delle gioie inebrianti concesse anche sulla terra, come pregustazione, al credente che apre il suo cuore alla dottrina dello Spirito d’amore insegnata da san Paolo (l’antichità cristiana ha più volte raffigurato il neofita che riceve il battesimo tra un albero secco e uno fiorito). La colomba che becca i grappoli della vita costituisce il simbolo tradizionale dell’anima ammessa al banchetto eucaristico.

Facciamo ora un passo indietro per chiarire con altre opere il simbolismo dei due uccelli di questo timpano. Effettivamente, lo splendido uccello che si pavoneggia nella vigna contrasta con uno piccolo, magro e affamato appollaiato di fronte, sull’albero secco del mondo rovinato dal peccato. Non è quasi neanche più un uccello, un essere alato, simbolo inalienabile della nostalgia dell’uomo decaduto che non può dimenticare che la sua anima non è destinata alla terra ma al cielo. La piccola figura sale più verso il luogo di soggiorno degli uccelli, simboleggiato dai rami degli alberi, che verso la cima dell’albero cosmico. Vi si riconosce il tema dell’uccello sull’albero la cui fronda è considerata come un altro mondo, di per sé inaccessibile all’uomo e spesso paradisiaco. Il tema esprime l’aspirazione dell’uomo a passare al di là, ad una rottura, ad una spiritualizzazione o alla riscoperta di uno stato di beatitudine una volta posseduto e perso per il peccato.

Sull’esempio dell’arte pagana che l’aveva preceduta, l’iconografia cristiana dei primi secoli ha moltiplicato le figure degli oranti, dei santi o della Vergine mentre pregano davanti ad un albero su cui si scorgono una o più colombe, immagini della purezza dell’anima o della presenza dello Spirito Santo. L’albero con gli uccelli fa ancora parte dell’iconografia della Resurrezione concepita come pienezza di vita superiore e ormai impossibile. Li si rintracciano su alcune tombe antiche.

Un capitello di Payerne rappresenta nel centro un abate, insolitamente distinguibile da una piccola corona piatta, circondato da monaci.

Payerne, Chiesa abbaziale – Capitello del transetto meridionale

L’abate regge il libro delle Scritture, poiché la sua prima funzione è quella di spiegare la dottrina sacra ai fratelli; anche i monaci di sinistra come allievi fedeli sono raffigurati con la Bibbia in mano; quelli di destra, invece, tengono gli uccelli, simboli della vita spirituale che attingono dalle sante Scritture. Il gruppo della colonna sviluppa il tema dell’albero della vita; ai suoi piedi, due leoni indicano con la loro presenza la soglia sacra; il tronco dell’albero è essenzialmente costituito dal gruppo dei monaci e dei loro uccelli e lo considereremo fra poco; sopra le loro teste, una maschera da cui escono i pampini generosi della vite eucaristica che nutre l’anima dei credenti, comunicando loro la vita celeste; il cesto più in alto si ricollega ai capitelli di Farges e di Cluny, che presentano un albero su ciascuno dei quattro lati.

Il manoscritto delle Tre Colombe mostra il Cristo troneggiarne tra le foglie di un cedro verde in forma di gloria e circondato da uccelli che’simboleggiano i credenti.

Troyes, Biblioteca Municipale – Manoscritto delle Tre Colombe: Cristo albero del mondo

Gesù, nella sua persona, realizza la parola già citata messa da Osea sulla bocca di Iahvè: «Io sono come il cipresso verdeggiante; è da me che viene il frutto». Esso è il vero albero del mondo spirituale tra i rami del quale si annidano tutti gli uccelli della nuova creazione.

Ad Andlau tale spiritualizzazione, cioè tale salvezza, è ancora da conquistare: da qui, il tema dell’arciere che tende il suo arco in direzione dell’uccello, di un uccello appollaiato su un albero. La freccia è un efficace ed universale simbolo del superamento della condizione normale; è una liberazione immaginaria dalla distanza e dalla pesantezza; un’anticipazione mentale della conquista di un bene al di là di ogni attesa. Così, per esempio, la freccia diventa l’attributo che il centauro sagittario cristico scocca sul cervo, immagine dell’anima cristiana perseguitata per la sua salvezza. Lanciata verso l’alto, la sua traiettoria disegna una scala immaginaria in pieno cielo. Anche il lancio verticale fa parte di alcuni riti laddove altri usano l’ascensione rituale di un albero, di una scala, di una torre. L’uomo s’identifica al suo proiettile. L’arciere è il simbolo dell’uomo che mira a qualcosa e che già in certo modo se la prefigura.

Wou-Yong, Camera delle offerte – Rilievo: Albero dell’Universo e carro cosmico

Nella figura vediamo l’uomo disceso dal carro mentre si protende verso l’albero cosmico ove stanno gli uccelli; un arciere ne prende di mira uno fra gli altri, a bruciapelo. Sul manoscritto di una Bibbia del XII secolo proveniente da Saint-Aubin, il motivo è diventato puramente decorativo secondo l’abituale processo di degenerazione dei simboli.

Ad Andlau, per evitare la simmetria, di cui l’arte romanica ha orrore, l’artista ha collocato a sinistra un arciere e a destra un fromboliere; il simbolismo resta evidentemente lo stesso. L’arciere ambisce al ritorno allo stato spirituale, aereo, attraverso il quale realizzerà la scalata dei cieli attraverso il cosmo mutilato. Il fromboliere con il dito puntato verso l’oggetto del suo desiderio ambisce alla felicità dell’animo in cui abita lo Spirito già da quaggiù grazie alla Eucarestia e più avanti, in pienezza, nel Paradiso ritrovato.

Questi due aspetti sintetizzano le leggi della salvezza cristiana. Così in ogni coppia di buoni, la disarmonia della coppia originale deve essere superata. Noi vediamo ogni marito indicare col dito alla propria moglie il Cristo del timpano, nuovo Adamo, nuovo albero di vita, piantato nel cuore del loro focolare; gli atteggiamenti delle figure sottolineano questo concetto nel loro linguaggio di pietra: la seconda coppia (a partire dall’alto) dello stipite di sinistra riproduce esattamente la posizione di Iahvè che conduce per mano Adamo ed Eva innocenti verso l’albero che indica loro col dito; se lahvè è scomparso, il marito è là che ripete il suo gesto: rappresentandolo, lo rende presente. L’ordine naturale è ristabilito.

Il fatto che la vita spirituale sia simboleggiata da un albero non ci deve stupire. Spesso, la Bibbia canta con meraviglia il giusto sotto le spoglie di un albero fiorente:

Il giusto fiorirà come la palma
si moltiplicherà come il cedro del Libano

Parigi, Biblioteca Nazionale – Apocalisse del Beato di Liébana: Iustus ut palma florebit

La figura illustra il primo di questi due versi: la palma da dattero è l’albero sacro degli antichi abitanti della Mesopotamia. Abbiamo visto, poco sopra, come il Cristo stesso, il giusto per eccellenza venisse rappresentato al centro di un magnifico cedro verdeggiante. Attenzione, tuttavia! Le apparenze quaggiù possono essere fallaci e i cattivi possono rivestire i panni di alberi rigogliosi, mentre i giusti conoscono la miseria materiale… Ma giungerà l’ora in cui Dio ristabilirà le cose nella verità e nella giustizia. Quel giorno,

tutti gli alberi dei campi sanno che sono io, Iahvè,
che umilia l’albero che si è innalzato e che innalza l’albero umiliato
che fa seccare l’albero verde e rinverdire l’albero secco.
Io, Iahvè, ho detto, io eseguo.
(Ezechiele, XVIII)

Verrà il giorno in cui questa onnipotenza creatrice, amante della vera umiltà e dei sentimenti nascosti in fondo al cuore, creerà l’oggetto di una delle più belle parabole di Gesù «Il regno dei cieli è simile ad un granello di senape che un uomo ha preso e seminato nel suo campo. È il più piccolo di tutti i semi, ma quando è cresciuto diventa il più grande degli ortaggi, diventa persino un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono ad abitare tra i suoi rami» (Matteo, XIII).

La prosperità del giusto gli viene da Dio come ricompensa della sua fiducia e della speranza:

Felice l’uomo che confida in Iahvè
e di cui Iahvè è la speranza.
Egli è simile ad un albero piantato sulle rive dell’acqua
che allunga le sue radici verso la corrente
Esso non teme nulla quando viene il caldo,
le sue foglie restano verdi;
in un anno di siccità esso non prova inquietudine
e non tralascia di dare frutto.
(Geremia, XVII).

Il suo frutto, il più bello di tutti, ed anche il più gratuito perché è puro dono di Dio, è una posterità:

Beati coloro che temono Iahvè
e camminano nelle sue vie…
Il tuo sposo: una vigna fruttuosa
all’interno della tua casa.
I tuoi figli: piante d’olivo
attorno alla tua tavola.
(Salmo CXXVIII)

Da questo sfondo di benedizioni divine accordate ai giusti, si stacca l’allegoria dell’albero di Jesse. Il Miroir de la Redemption (1478), un esemplare del quale si trova alla Biblioteca di Troyes, illustra numerosi tratti iconografici che abbiamo avuto l’occasione di citare.

Troyes, Biblioteca Nazionale – Mirouer de la Redemption: Albero di Jesse

Il re David, figlio di Jesse e capostipite della discendenza messianica, dorme e sogna; un albero esce dal suo petto. Tra le foglie, nel centro, la Vergine Maria che darà alla luce Cristo (confrontare col Cristo nell’albero). Quattro personaggi coronati rappresentano gli antenati coronati del Messia; essi sono volti verso Maria. L’uccello dello Spirito Santo si posa sulla Vergine e realizza l’Incarnazione. Nell’albero simbolico, la terra e il cielo si uniscono; l’uomo, tratto dal frutto della terra del Paradiso (Jesse, radice), collabora con Dio per farne l’Uomo-Dio che abbiamo visto ad Angoulême, in cima all’albero del mondo.

Nel suo simbolismo naturalistico, l’albero si presta ad evocare il mistero della vita in quanto donata da Dio. Tale simbolismo è adatto ad essere valorizzato con allusioni bibliche. Nella volta di Saint-Savin, sullo sfondo della scena in cui Iahvè promette una discendenza indefettibile e numerosa come le stelle del cielo e la sabbia del mare ad Abramo, scorgiamo un albero sul quale si arrampica un bambino: il simbolo più tradizionale della discendenza; la coincidenza sarà fortuita? Fu per un miracoloso intervento di Dio che Abramo divenne padre di Isacco quando aveva passato i cento anni ed avendo una moglie sterile: dono meraviglioso e gratuito come la crescita dell’albero benedetto cantato dalla Bibbia.

Digione, Biblioteca Municipale – Leggendario di Citeaux: Albero di Jesse

Sulla stessa linea tipologica, un manoscritto del Leggendario di Citeaux utilizza il simbolismo dell’albero per illustrare la maternità verginale di Maria. In basso, Jesse con i suoi viticci nella posa dei personaggi semi-avviticchiati del portale di Andlau; nel centro, in una specie di trionfo di foglie, la Théotokos, la madre di Dio, mentre allatta il divin Figlio. Sulla cima dell’albero la colomba dello Spirito Santo che l’ha presa sotto le ali realizzando l’Incarnazione e insieme l’Annunciazione. Le due scene che si trovano sotto il nucleo centrale si riconducono al mistero della Maternità verginale prefigurata da alcuni episodi dell’Antico Testamento. In basso, a sinistra, Mosè, per ordine di Dio, si toglie i sandali davanti alla visione del roseto ardente che brucia senza consumarsi, in mezzo al quale compare Iahvè, DNS IN RUBO: «il Signore nel roseto». Il roseto prefigura Maria che ha accolto in sé il Verbo senza consumare la sua verginità e nella quale egli si è reso presente agli uomini attraverso l’Incarnazione (Esodo, III). A destra, Gedeone guarda cadere la rugiada che intride copiosamente il vello, mentre, per la sua preghiera, il suolo tutt’attorno resta perfettamente asciutto (Giudici, VI), a immagine di Maria che fu sola fra tutte le altre donne ad accogliere nel suo seno il Verbo disceso dal cielo; l’iscrizione PLUVIA DESCENDENS IN VELLUS, «discendendo la pioggia sul vello», allude al salmo LXXII (secondo il testo delle versioni, in riferimento all’episodio di Gedeone) che descrive la venuta del re messianico, nella prospettiva ripresa dal noto canto d’Avvento: Rorate coeli desuper, «Cieli, fate cadere la rugiada dall’alto e fate che le nubi facciano piovere il Giusto; che la terra si apra e generi il Salvatore!» (Isaia, XLV). Le due scene del roseto e del vello di Gedeone hanno ispirato due delle antifone che la Chiesa canta l’ottavo giorno di Natale e all’ufficio della Santa Vergine fino al 2 febbraio. I due episodi rappresentati in alto si ricollegano al mistero della salvezza recata da Cristo. A sinistra, si legge DANIEL-LACUS LEONUM: «Daniele-la fossa dei leoni»; a destra, TRES PUERI IN CAMINO: «I tre fanciulli nella fornace». Poiché i leoni e il fuoco sono tradizionalmente simboli di lussuria, forse si è voluto vedere nello sfondo di queste due scene un’allusione simbolica alla verginità che Dio solo può preservare: verginità del corpo e dell’anima, come nella maternità di Maria o nella verginità consacrata, o solamente verginità dell’anima per la difesa dal peccato e dalla morte che la insidia. In basso nella miniatura, si legge a grossi caratteri: «La beatissima madre del Signore, sempre vergine, ecc…»

L’albero di Jesse è un albero mariano. È l’albero della chiesa universale, paradisiaco per natura. «L’albero della vita celato in mezzo al Paradiso è cresciuto in Maria. Uscito da lei, ha esteso la sua ombra sull’universo, ha sparso i suoi frutti sui popoli più lontani, come sui più vicini» (San Cirillo di Alessandria). Maria è veramente la nuova Eva. L’albero di Jesse è dunque di più di un semplice albero genealogico come ne conosciamo tanti, spesso relegati a non essere nulla più che volgari tavole sinottiche, simboli intellettualizzati e congelati. L’albero di Jesse è un albero che rimane carico dei suoi valori di sacralità naturale. Inoltre è latore di promesse storiche divine; nella prospettiva biblica di restaurazione di un universo turbato dal peccato, lo vedremo assimilato alla croce redentrice, come in un affresco della cattedrale di Pamplona, in cui l’albero di Jesse continua, – oltre la Vergine col Bambino collocata fra i rami – nella croce su cui muore Cristo.

AutoreGerard de Champeaux; dom Sebastien Sterckx   
PubblicazioneI simboli del medioevo  
EditoreJaca Book
LuogoMilano 
Anno1981 
Pagine324-356 

La croce e l’albero

Sezione: Studi


Il segno della croce è la colonna vertebrale lungo la quale i Padri della Chiesa hanno dimostrato che la Bibbia si organizza, dalla Genesi all’Apocalisse. La continuità dei misteri che corrono per le diverse età- come l’ondata che partita da una riva dell’oceano lo gonfia sempre più senza tuttavia spostarne le acque finendo col frangersi sulla riva opposta – ha dominato il pensiero della chiesa primitiva. Tale concezione si è mantenuta estremamente viva fino al medioevo e forse si può considerare come la principale chiave d’interpretazione dell’iconografia di quei tempi. Ora, il mistero della croce è stato più chiaramente intuito ed espresso attraverso il sacramentum ligni vitae, il segno dell’Albero della Vita. Occorre dunque prendere da qui quanto abbiamo accennato precedentemente a questo proposito, per sviluppare il discorso.

L’Albero della Vita del capitello di Cluny, del portale di Andlau, lo abbiamo ritrovato nel cuore della Gerusalemme celeste dell’Apocalisse, a fianco del trono dell’Agnello, nell’affresco di Civate. L’abbiamo visto generare dei rami e attraverso la lenta preparazione dell’Albero di Jesse giungere al frutto del seno della Vergine: il Cristo che verrà crocifisso sulla sua sommità, come nell’affresco del chiostro della cattedrale di Pamplona. Albero della conoscenza del bene e del male, albero della vita, albero della croce, tutti e tre piantati nel centro del luogo sacro, nel centro del cosmo, questi alberi si confondono in uno solo. La Croce è chiamata Legno di Vita, Albero di Vita o semplicemente Legno. Non si tratta di fantasia naturalistica se l’affresco di Tavant mostra il Signore crocifisso su tronchi grossolanamente tagliati e disposti a croce. L’albero unico indica il centro del mondo e del dramma della salvezza. Fu ai suoi piedi che prese avvio la storia, con la creazione del primo uomo, plasmato nell’argilla; fu là, che essa ricevette il suo fondamentale orientamento attraverso il peccato che chiamava in quello stesso luogo la venuta di un salvatore per ristabilire tutte le cose in uno stato ancor più meraviglioso di quello originario; mirabilius reformasti, dice una preghiera della Messa.

Il mosaico absidale della chiesa superiore di san Clemente a Roma illustra in maniera perfetta l’assimilazione della croce e dell’albero della vita; esso costituisce la versione naturalistica del mosaico del Laterano.

Roma, San Clemente – Abside, mosaico: Albero della vita

In cima alla montagna del Paradiso cresce l’albero della vita che dà origine alla croce sulla quale si offre il crocifisso. L’albero contemporaneamente è una vite, il suo fogliame si espande per l’universo, pieno di uccelli; dodici colombe che rappresentano le anime dei credenti che salgono al cielo si contrappongono a quelle sulla croce. L’ampio arabesco delle foglie nel centro sembra provenire direttamente dal cuore di Cristo come da una radice mistica: «Tra le due braccia si avvolge la vite da cui scorre per noi in abbondanza il dolce vino che ha il colore del sangue» (Venanzio Fortunato, Poemi, II, 1).

Ai piedi dell’albero un cervo – animale che doveva uccidere il serpente – si slancia su un enorme rettile: simbolo di Cristo vincitore di Satana attraverso la croce. I quattro fiumi del Paradiso discendono dalla montagna santa e alcuni cervi si abbeverano alle loro acque. La composizione è dominata dalla mano divina che esce dalle nubi e che avvicina la corona di foglie alla testa del Cristo vincitore.

Abbiamo già tracciato le linee di questo tema. Conviene ora ripensarli insieme, raggruppati, sintetizzati, collocate al posto giusto. Lo faremo servendoci di qualche citazione che ci porrà in contatto con il pensiero di cui erano impregnati gli artisti che stiamo cercando di capire.

Cominciamo da un passo della Grotta del tesoro di Siria (opera che viene dalla cerchia attorno ad Efrem).

Con i quattro elementi del cosmo
Dio fece Adamo con le sue mani sante
secondo la sua immagine e la sua somiglianza.
Vedendolo, gli angeli furono colpiti
dalla bellezza del suo viso,
perché esso splendeva di meraviglioso fulgore,
I suoi occhi brillavano come il sole,
la luce del suo corpo era come cristallo,
Egli si mosse, in piedi nel centro della terra,
e pose i suoi piedi là dove sarebbe stata eretta la croce del nostro salvatore,

cioè ai piedi dello stesso Albero della Vita; e l’autore precisa: «Quest’albero di vita nel centro del Paradiso è un’immagine che annuncia la croce del Salvatore che è albero di vita vera e questa croce è innalzata nel centro della terra». E là che muore Adamo e la sua morte, per l’abbreviarsi del tempo sacro, viene assunta nell’avvenimento del Calvario.

Poi Adamo se ne andò da questo mondo
il quattordicesimo giorno di nizan alla nona ora
un venerdì
nell’ora in cui il Figlio dell’Uomo sulla Croce
rimetteva la sua anima al Padre.

Ecco ora una di quelle leggende religiose, come del resto ne circolavano un tempo, che servivano da catechismo al popolo dei credenti, con l’incomparabile privilegio di introdurre attraverso l’ingenua fantasia del racconto nell’intimo dei misteri. Si tratta del Viaggio di Set in Paradiso, uno dei tesori della cristianità medievale. Eccone il sunto: «Adamo, dopo aver vissuto 932 anni nella vaile dell’Ebron, viene colpito da una malattia mortale e manda il figlio Set dall’arcangelo che custodisce la porta del Paradiso, per chiedergli l’olio di misericordia. Set segue le tracce dei passi di Adamo ed Eva dove l’erba non è spuntata e arrivato davanti alla porta del Paradiso, espone all’arcangelo il desiderio di Adamo. Questi gli consiglia di osservare tre volte il Paradiso. La prima volta, Set vede l’acqua da cui nascono i quattro fiumi e più in alto un albero seccato; la seconda volta, un serpente che s’arrotola attorno al tronco. Guardando per la terza volta, egli vede l’albero innalzarsi fino al cielo; porta sulla cima un neonato e le sue radici si prolungano fino all’inferno (l’Albero della Vita si trovava nel centro dell’universo e l’asse attraversava le tre regioni cosmiche).

L’angelo spiega a Set ciò che ha visto e gli annuncia la venuta di un redentore. Gli consegna pure tre semi dell’albero fatale, di cui i suoi genitori avevano mangiato, e gli dice di metterli sulla lingua di Adamo che sarebbe morto dopo tre giorni. Quando Adamo ascolta il racconto di Set, per la prima volta dopo la cacciata dal Paradiso, sorride, perché comprende che gli uomini saranno salvati. Alla sua morte, dai semi posti da Set sulla sua lingua, nella valle dell’Ebron nascono tre alberi che crescono di una spanna fino al tempo di Mosè. Quest’ultimo, conoscendo la loro origine divina, li trapianta sul monte Tabor o Oreb (centro del mondo). Gli alberi vi rimangono un migliaio di anni fino al giorno in cui Davide riceve l’ordine divino di portarli a Gerusalemme (anche essa un centro). Dopo molti altri episodi (la regina di Saba rifiuta di mettere il piede sul loro legno, ecc.), i tre alberi si fondono in uno solo dal quale si ricaverà la croce del Redentore. Il sangue di Gesù crocifisso nel centro della terra, precisamente là dove era statò creato e poi sepolto Adamo, scorre sul cranio di Adamo, battezzando – con la redenzione delle sue colpe – il padre dell’umanità» (Mircea Eliade, Traité d’histoire des religions, p. 254).

Un ultimo testo, il più bello di quanti furono scritti per celebrare i misteri della croce, sintetizza le linee principali del suo simbolismo in contesto cristiano. Quest’inno fu composto da Ippolito di Roma, all’inizio del III secolo. L’iconografia di cui abbiamo riferito non può essere esattamente apprezzata se non in quella luce che l’ha vista nascere. Ogni espressione cela una o più allusioni. A metà del II° paragrafo si passa dall’albero della croce al Cristo che su di essa ha preso posto.

«Questo legno mi appartiene per la salvezza eterna. Me ne nutro, me ne cibo, sto attaccato alle sue radici… fiorisco con i suoi fiori, i suoi frutti sono per me motivo di immenso godimento, frutti che io raccolgo, preparati per me dal principio del mondo. Per la mia fame trovo delicato nutrimento; per la sete, una fontana; per la nudità, un vestito; le sue foglie sono spirito vivificante. Lontane da me ormai sono le foglie di fico! Ecco la scala di Giacobbe sulla quale gli angeli salgono e scendono, in cima alla quale sta il Signore.
Quest’albero che si allunga fino al cielo, sale dalla terra al cielo. Pianta immortale, si innalza al centro del cielo e della terra: fermo sostegno dell’universo, legame di tutto, sostegno di tutta la terra abitata, legame cosmico che comprende in sé tutta la molteplicità della natura umana. Fissato dai chiodi invisibili dello spirito per non vacillare nell’avvicinamento al divino; tocca il cielo con la cima, dona stabilità alla terra con le radici e abbraccia nello spazio intermedio tutta l’atmosfera con le braccia incommensurabili.
O tu che sei solo fra chi è solo e che sei tutto in tutto. Che i cieli abbiano il tuo spirito e il Paradiso il tuo animo: ma il tuo sangue l’abbia la terra!».

AutoreGerard de Champeaux; dom Sebastien Sterckx  
PubblicazioneI simboli del medioevo 
EditoreJaca Book 
LuogoMilano 
Anno1981
Pagine374-377