Leone: i leoni benefici

Sezione: Lessico


Il leone appare anzitutto nel Tetramorfo come simbolo di san Marco, per il fatto che questi dà inizio al suo vangelo, là dove si tratta di presentare il Battista, citando Isaia: «Ecco, io invio dinanzi a te il mio messaggero, che preparerà la strada; è la voce di colui che grida nel deserto.» E, come si sa, il leone vive proprio nel deserto.

Per il fatto che gli animali del Tetramorfo rappresentano le virtù cardinali, il cristiano, è detto, «deve essere un leone, perché il leone è l’animale coraggioso per eccellenza e perché il giusto che ha rinunciato a ogni cosa non teme più nulla in questo mondo; è di lui infatti che è stato scritto: il giusto sarà saldo e senza paura come un leone».

Soprattutto, il leone simboleggia una delle tappe importanti della vita del Cristo, la resurrezione, a sentire certi testi di bestiario e svariate tradizioni antiche. Sulla scia di Plutarco il leone, secondo certi Padri della Chiesa (sant’Ilario, sant’Agostino), aveva fama di dormire con gli occhi aperti, e si diceva che gli occhi aperti avessero anche i suoi cuccioli al momento di nascere. Questa caratteristica spiega la sua assunzione a controfigura del Cristo nel sepolcro: gli occhi aperti sono infatti la prova della divinità di Gesù che si manifesta, mentre la morte testimonia per se stessa della sua umanità. Per poterne fare un simbolo di resurrezione, scrittori ancora più numerosi, da Origene a Isidoro di Siviglia, raccontavano che i cuccioli di leone nascevano morti, ma che il padre soffiasse loro in gola per rianimarli. La favola era destituita d’ogni fondamento, ma, come ha ammesso sant’Agostino, «importa poco l’esattezza del fatto: ciò che conta è la morale che se ne trae». Sempre a causa dei suoi occhi aperti, il leone era altresì simbolo di vigilanza e di giustizia. Tutte queste grandi virtù attribuite al leone spiegano la sua posizione di spicco e l’antichità immemorabile di tale posizione: lo vediamo infatti presso le civiltà più diverse – Egitto, Oriente mesopotamico o siriaco, Grecia, Roma – simboleggiare il fuoco, quello del cielo però, quello del sole; assai di buon’ora inoltre il leone igneo, celeste, assume un significato funerario, che raggiungerà il suo apogeo nel simbolismo delle leggende e dei riti relativi alla morte presso i Romani.

Che questo animale abbia colpito l’immaginazione degli antichi si spiega con la naturale maestà del suo portamento, specialmente nel maschio, assai superiore a quella sfoggiata dalla femmina. A partite dalle favole classiche e fino al Roman de Renard, il leone porta il titolo di re degli animali e diviene per ciò stesso simile all’uomo: nelle gerarchie che pongono Adamo al vertice della creazione – per esempio, sul dittico Carrand o attorno all’albero della Visione di Daniele nella Bibbia di Astorga – il leone è sempre in prima posizione. I veri eroi non possono avere nemico più degno, chiunque essi siano: Eracle, vincitore del leone di Nemea, Gilgamesh, raffigurato sempre fra due belve – per esempio, fra un centauro dal corpo leonino e un leone vero, a Serrabone – e gli stessi eroi biblici, da Sansone a Davide e a Daniele.

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L’aspetto maestoso del leone spiega come mai esso sia penetrato in Occidente e vi abbia dominato fino ai giorni nostri, sui battenti dei portoni, agli ingressi dei palazzi di giustizia, ecc. Per la stessa ragione esso è passato dal Vicino Oriente addirittura alla Cina, diffondendosi anche qui agli ingressi degli edifici, sempre in coppia, benché si trattasse di un animale parimenti sconosciuto in questa parte del mondo.

Il raffronto tra il sarcofago di Déols e il timpano di Saint-Ursin, dove fra gli altri temi ispirati all’Antichità è presente l’idea dei quattro temperamenti dell’uomo, dimostra l’alto valore attribuito al leone quando raffigurato vicino all’uomo. Innumerevoli monumenti classici o paleocristiani, come la pisside di Bobbio e i sarcofagi copti o aquitani, contrappongono abitualmente, da una parte, la Caccia al leone in estate e all’orso o alla gazzella in inverno, e dall’altra, l’albero spoglio accostato all’uomo abbigliato e l’albero coperto di foglie accostato all’uomo ignudo, al fine di illustrare il giuoco dei grandi ritmi naturali che inseriscono l’uomo in un perpetuo ricominciare daccapo, ma lo innalzano al tempo stesso al di sopra della natura. Ed è proprio questo concetto che ritroviamo espresso sul sarcofago di Déols: un cavaliere completamente vestito caccia il cinghiale e l’orso, corrispondenti all’inverno e alla primavera, mentre un altro cavaliere parzialmente nudo caccia il leone e il cervo, simboli dell’estate e dell’autunno. Una riflessione più profonda, derivata dai medici e naturalisti antichi Ippocrate e Galeno, traspare da queste figurazioni, quando si fanno corrispondere il cinghiale al temperamento collerico e pneumatico e l’orso, che trascorre i mesi freddi in ibernazione e che bisogna fare uscire a forza dalla tana, al temperamento linfatico. Il leone, per quanto lo riguarda, è il più vicino all’uomo ed effettivamente, sul timpano di Bourges, cede il posto al personaggio accovacciato e al cavaliere, perché rappresenta il temperamento nervoso e meditativo: è questo temperamento che contraddistingue l’umanità, capace grazie alla ragione di dominare la bestialità e perfino l’influsso dei vari temperamenti. Le favole ci presentano questo leone quasi umano, capace di discernimento e di riflessione, capace soprattutto di dominare i propri istinti: esso, per esempio, non finisce mai un nemico caduto a terra. Tuttavia, a Saint-Ursin non si poté mantenere il leone come temperamento superiore e come simbolo di resurrezione nell’allegoria dei temperamenti: queste prerogative, in epoca romanica, erano ormai riservate al Cristo e non potevano comparire anche in un’allegoria profana.

Questa assimilazione del leone all’uomo ha anche un rovescio: esso è vicino all’uomo a causa delle sue stesse contraddizioni, giacché difficilmente si mescolano in lui carne e spirito, debolezza del corpo o vulnerabilità e portamento maestoso. Ma prima di affrontare questa ambiguità dei leoni occorre prendere in considerazione certi loro aspetti solari, soprattutto in zona egiziana.

In armonia con queste concezioni, il Leone occupa nel Tetramorfo una posizione di spicco, in basso e a sinistra. A Chartres, e soprattutto a Le Mans, il leone è l’unico, al contrario del bue, pur essendo raffigurato in posizione di «contrasto», a volgersi con tanta franchezza verso il Cristo centrale. E il punto di partenza di una fascia rivolta verso destra, in direzione dell’aquila, animale solare essa pure, ma ad un livello superiore, perché simbolo dell’ascensione.

Lessico dei Simboli Medievali, Jaca Book, Milano 1989, pp. 174-175

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